All’interno della fascia d’età avanzata, molto frequentemente l’incidenza della patologia depressiva viene sottostimata in quanto la specifica sintomatologia, ed ancor di più le modalità atipiche di presentazione della malattia, vengono ricondotte erroneamente ad una normale o parafisiologica risposta alla senescenza.
Nella realtà anche nel soggetto anziano il riscontro di una sindrome depressiva necessita e trae beneficio dal trattamento. Nella popolazione anziana l’incidenza della depressione maggiore è di circa il 4-5 % (con maggior frequenza nel sesso femminile; rapporto F/M = 2,5 : 1). Considerando anche le manifestazioni di semplice distimia i valori aumentano fino al 25% (ed in gruppi selezionati, ad esempio nei soggetti ricoverati/istituzionalizzati, si assiste a percentuali di riscontro ancora maggiori, addirittura fino al 40%).
I sintomi tipici che devono far sospettare la presenza di una manifestazione depressiva sono: umore flesso, anedonia, alterazioni del sonno e dell’appetito, affaticabilità, incapacità ad assumere decisioni, senso di colpa, idee di suicidio. Molto più spesso si rilevano sintomi atipici quali: disturbi fisici di vario ordine ed entità (algie, disturbi della minzione e della evacuazione), ansia, irritabilità/aggressività, idee paranoidi.
Nella genesi della depressione nel paziente anziano vanno primariamente considerate alcune patologie che rappresentano veri e propri fattori di rischio per il manifestarsi della malattia: ipotiroidismo, infarto miocardio, diabete mellito, neoplasie, morbo di Parkinson, ictus cerebri, morbo di Alzheimer.
D’altra parte alcune ricerche indicano nella omo/eterozigosi dell’allele S del gene transponder della serotonina un preciso fattore di rischio genetico per lo sviluppo di sindromi depressive, tramite l’incremento dei valori di cortisolo e citochine IL6 proinfiammatorie.

A cura del dott. Perico

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